Crisi di autostima
Sarà
anche ‘sto tempo che ci fa scontare un giorno di sole con sette di purgatorio meteorologico,
ma veramente stamattina vedo grigio. Vedo grigio su tutti i fronti.
Come
casalinga – sia pur sui generis, come precisa mia figlia – sono un fallimento
quasi completo: bastano un paio di giorni di abbandono della trincea e la
Stamberga si trasforma in un caos. Cumuli di roba da piegare e stirare, ceste
piene di bucato da lavare, gatti di polvere che si inseguono furiosamente sui
pavimenti e sotto i mobili, mentre uno strato di cipria vela tutte le superfici.
Manco non pulissi da sei mesi. Certe volte mi domando se casa nostra sia affetta
da un virus, che si incasina a questa velocità. Forse è infestata dai fantasmi,
perché c’è qualcosa di paranormale in questo disastro dilagante, sempre.
Poi
ci si mette anche mio figlio: stamattina entra nella mia stanza e mi trova in
fase di vestizione. Inizia subito la consueta pantomima, fingendo di vomitare
per il disgusto. Finisco di infilarmi i calzoni, protestando vivacemente: “Finiscila
di fare tante scene. Avercene, di mamme così ben conservate! Non è vero che
sono nauseante.”
Alla
mia convinta dichiarazione, quello ghigna e mi risponde: “Giusto un conatino…”
Com’è
che si dice? Bastardo dentro? Ecco, allora lo dico. Se lo merita.
Non
pago, dopo un paio di minuti si riaffaccia sulla soglia, osservando con curiosità
che mi sto già truccando e pettinando. Operazione che mi prende tre minuti in
tutto, vorrei specificare. Nonostante i tempi ristrettissimi dedicati al mio
restauro, non noto mai scene di panico quando cammino per la strada. Eppure, il
mio adorato cucciolo insiste con le mazzate: “Come mai sei già vestita,
schianto… ferroviario?”
Verme
della terra. Manco gli rispondo, figlio degenere. Senza degnarlo di una sola
occhiata, lo supero impettita e raggiungo mio marito dal gommista: sostituzione
delle gomme invernali. Che con questo clima ti vien quasi da ridere a montare
quelle estive.
Infine,
ciliegina sulla torta: mercoledì ho insegnato a mio fratello a ricaricare il
cellulare in edicola. Persino le istruzioni scritte su come fare, gli avevo
stampato. Oggi sbircio il suo account telefonico, verificando che la ricarica
non è stata eseguita.
Ed
è subito giallo: è lui a non aver avuto il coraggio di affrontare la novità o
nostra madre ad essersi strenuamente opposta a questa pericolosa innovazione?
Ho
già avviato le indagini per risolvere il mistero e ottenere che almeno una ricarica
al cellulare riesca a farsela da sé.
L’autonomia
è fatta di tanti, minuscoli dettagli: e per ognuno di essi c’è un muro
invisibile da sgretolare, fatto di abitudini consolidate, piccole pigrizie,
grandi insicurezze e paure insensate. Un muro che – di solito – riesco ad
abbattere con la mia calma sicurezza, con soddisfazione di tutti. A latere,
però. In corso d’opera, è una guerra. Per di più, appena finito con uno, se ne
presenta subito un altro, ancora più spesso e robusto. Sisifo mi fa un baffo, a
me. Dilettante!
Meno
male che mi sono allenata con i figli, va’…
Ok,
ora vado a comprare un quintale di pesce. Quando sto così, mettermi a cucinare è l’unica cosa in grado di
rasserenarmi. Saluti, gente!
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