Ebbene sì, sono una madre moderna
Perché
penso che i figli vadano resi autonomi, anziché coccolati fino a che morte non
ci separi.
Perché
sono convinta che la parità dei sessi si persegua rendendo i figli maschi potabili
anche sul versante domestico, non trasformando le figlie femmine in perfette
inette Findus-dipendenti.
Perché
per sentirmi realizzata non ho bisogno che i miei familiari dipendano da me: se
sanno trovare da soli le mutande nel cassetto mi va anche bene. Grazie.
Perché
se non ho voglia di far da mangiare tonno e pasta ce ne sono sempre. E se sono
finiti non è certo colpa mia: il latte è un alimento completo. Perfetto per quelli che azzerano le scorte senza avvisare chi di dovere.
Perché
tra sfaccendare e uscire per farmi una passeggiata so sempre cosa scegliere.
Perché
non sono quella che se ne va per il fine settimana col marito abbandonando i
figli a casa: se vogliono venire con noi siamo sempre felici di accoglierli in
camper. Diversamente, quella abbandonata da loro sono io. Ergo, me la batto a
cuor leggero.
Perché
il ferro da stiro mi provoca potenti riflessi di evitamento. Anche se la prole
spiana le T-shirt con le spalle e non dorme tra lenzuola tirate a piombo, la
sottoscritta vive bene lo stesso. E la prole pure, mi risulta.
Perché
se sei adulto, vaccinato e con un lavoro stabile, devi organizzarti e andar via
di casa: oltre una certa età, i pulcini o spiccano il volo, o schiantano il
nido.
Perché
Kahlil Gibran è il mio mito: voi siete l’arco
dal quale i vostri figli sono lanciati come frecce viventi.
E’
una vita che cerco di incoccarle a dovere, ‘ste frecce: e vediamo come volano,
mannaggia!
Per
tutte le sopraelencate ragioni, è un pezzo che vado dichiarando con aria fosca:
“Basta! Voglio vederlo fuori di casa, quello…” e che mi adopero a rendere più
agevole e – soprattutto – rapida la sua uscita di scena.
Sabato
l’agognato giorno è arrivato: dopo un imprecisato numero di andirivieni in auto
tra casa nostra e casa sua, il giovane ha concluso il trasferimento delle sue
masserizie.
Vestito
come un poveraccio – vorrei sapere chi per traslocare si veste come Lord
Brummel: però è inutile. Quando a me va in corto il neurone, anche la normalità
assume i connotati della tragedia… - il nostro afferra un fagotto di panni e se lo
caccia sotto il braccio. In quell’arnese, si affaccia alla cucina per dire: “Ho
finito. Io vado…”
I
fratelli lo salutano con un neutrale: “Ciao Davide.” mentre la sottoscritta gli
si appende letteralmente al collo, scoppiando in un pianto dirotto.
Con
pazienza infinita, il migrante mi batte sulla schiena, consolandomi.
I
fratelli, viceversa, prima trasecolano: “Ma sta piangendo sul serio? Non fa
finta…?”
“No,
no! E’ seria!”
Indi
iniziano a dileggiarmi: “Mamma, ma la finisci? Guarda che va a stare a 800
metri da qui…”
“Ueh,
mica parte per la guerra! E tu non eri quella che lo voleva fuori di casa
quanto prima? Ma vedila adesso, roba da pazzi… Pare che le si spezzi il cuore!”
Nulla
da fare. Prese per il c@@@o o no, l’onda di piena non si stagna.
L’informatico:
“Matti, sono vere entrambe le cose! E’ comunque un ciclo che si chiude, per la
mamma…”
La
quale mamma, sempre ammutolita dai sighiozzi, assente vigorosamente a queste
parole, cercando di riportare il tumulto cardiaco entro i limiti di guardia.
Con scarso successo, peraltro. Dopo alcuni minuti di invereconda sceneggiata,
il geco molla l’osso e lascia andare il figlio. Figlio che sale in auto e parte
per la sua nuova vita. E ora? Che ne sarà di me, di lui, di noi...?
To be continued
Commenti
Posta un commento