Tonfo jurassico
Noi non dobbiamo mettere a posto casa. Ogni volta che ci mettiamo all’opera
capita qualcosa.
Ieri, per esempio: di buon mattino, l’amato bene e la sottoscritta si stanno
dilettando a riordinare la casetta di legno. Quella in giardino, dove si
tengono bici e materiale per giardinaggio e bricolage. Un delirio che nessuno
affrontava da quasi otto anni: ormai non
ci si camminava nemmeno più, lì dentro.
Mentre mi aggiro per il giardino, cercando di trovare un senso alle macerie
accumulate per ogni dove, sento un botto.
“Giuseppe?”
Silenzio .
Mi precipito, trovando il marito riverso a terra, testa appoggiata a mo’ di
cuscino sulla cassetta per gli attrezzi (una roba in acciaio, con sbullonatore
incastrato nella maniglia): occhi sbarrati, scosso da movimenti ritmici, incosciente.
Valentina e Andrea, accorsi ai miei gracidii, fanno per chiamare il 118,
mentre io mi avvicino all’uomo, disperata: questi si rianima all’improvviso, e
mi fulmina con lo sguardo.
Indi, da disanimato si trasforma all’istante in rianimatore: richiama il
telefonista, affermando la totale inutilità dell’ambulanza.
Quindi, passa ad abbaiare ordini a destra e a manca, organizzando i
soccorsi: con tre esecutori pedissequi nelle azioni, ma in piena fase eruttiva quanto a proteste.
“Ma perché non vuoi andare in ospedale? Ti fanno una TAC! Se fossimo noi al
posto tuo che faresti?”
“Quello che sto facendo adesso. Fammi un caffè doppio, Andrea. E’ il mio
mestiere, che diamine! Ho un taglio profondo in faccia?”
“No, è un piccolissimo graffio…” risponde la Miss, mentre lo tampona
amorevolmente col disinfettante.
“Avessi un trauma cranico importante, sarebbe una ferita lacero contusa. Mi
ricordo che mi sono appoggiato al braccio, prima di svenire. La cosa mi ha
evitato un colpo da emorragia cerebrale.”
“Oddio, non lo dire nemmeno! Ma sei sicuro di non farti vedere da un
collega? Io chiamo il neurologo di guardia!” blatero io, tenendogli i piedi
sollevati.
“Piantala. Non serve. Andrea, una Red Bull.”
Io, incredula: “???”
“Sì, una Reb Bull. E’ quello di cui ho bisogno, ora. E anche uno dei tuoi
beveroni energetici per la piscina, già che ci siamo. E’ stata una caduta di
pressione. Avevo già avuto un paio di giramenti…”
Coro sdegnato da parte del trio di soccorritori improvvisati: “E dirlo, no?! Ma devi
ammazzarti, per non fermarti mai???”
“Vero, vero, avete ragione… Adesso però fatemi alzare.”
In tre, lo aiutiamo a riprendere la stazione eretta. E’ pallido come un
cadavere, ma non mi ripete la sincope. Per fortuna.
Lo trasferiamo in salotto, piazzandolo di nuovo a gambe sollevate, monitorando la pressione
per la mezz’ora successiva.
“Mi dispiace, non ti posso aiutare con la casetta…”
“Falla finita per favore. Vedi di riprenderti sennò ci resto secca io, per
la preoccupazione. Ti rendi conto che non mi rispondevi? Mi si è fermato il
cuore!”
“Sì, Sognavo, infatti. Anzi, mi sono quasi arrabbiato con te quando mi hai
svegliato…” sorride, accarezzandomi la testa.
“Pure! Accidenti a te e alla tua imprudenza…”
E qui mi crolla l'adrenalina, per lasciare spazio al consueto piantino regolamentare.
Al termine del solito teatrino Duse, me ne torno a lavorare in
giardino. In poche ore, faccio il lavoro di tre uomini. Non c’è nulla da fare.
A me l’agitazione fa questo effetto: mi rende iperattiva.
Solo che non ho più l’età per queste emozioni, e stamattina sono pesta come
un baccalà…
Mentre il protagonista della sincope è regolarmente in reparto, a curare
quelle altrui.
Speriamo bene!
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