Depressione & polpette
Accidenti.
Qualche volta non so proprio come fare
per consolare le persone alle quali voglio bene. Figli inclusi.
Un
abbandono, il tradimento di una persona cara, una grossa delusione scolastica o
lavorativa, la morte di una persona amata: c’è chi piange, chi si chiude in se
stesso, chi ne parla, chi rifiuta persino di sfiorare l’argomento.
C’è
chi apprezza il tuo rimanere in disparte, in attesa di un cenno che autorizzi
un cauto avvicinamento. C’è chi invece ha bisogno di averti sempre attorno, chi non vive
senza le tue telefonate e chi detesta il telefono, apprezzando tuttavia un
costante scambio di mail.
A
volte districarsi è difficile, sbagliare comportamento molto facile, indovinare
la cosa giusta da fare, nel momento esatto in cui andrebbe fatta, quasi
impossibile.
Ogni
tanto, oltre alla bacchetta magica per risolvere magicamente tutte le
difficoltà (mie e altrui), mi piacerebbe possedere anche una sfera di
cristallo, per interrogarla sul da farsi nel mezzo di quel ginepraio che chiamo
la mia vita.
C’è
solo una cosa sulla quale so di poter fare affidamento: la buona cucina. Una fetta di
focaccia, una terrina di pastasciutta, persino una pila di polpette ben fritte: e su tutti i
volti fa capolino un timido sorriso.
Intuire che qualcuno ha spignattato per te, in un momento nel quale sei abbattuto, ha il potere di farti sentire amato e coccolato.
Azione antidepressiva della cucina sana: chi l’avrebbe mai detto, quando da pischella studiavo
Chimica degli alimenti?
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