La speranza è l'ultima a morire
E
fa bene a non morire, qualche volta. A quanto sembra, questa è una quelle: ho
trovato tutta un’altra faccia, stavolta. Ora, non è il caso di esultare: l’anno
è andato. Questo è un dato di fatto.
La
cosa davvero difficile da capire è se assieme all’anno sia andato anche il
ragazzo, o se rimanga qualche segno di vita corticale. E sembra di sì. Anzi, mi
è stato testualmente dichiarato: “Il ragazzo è intelligente e può affrontare
qualsiasi tipo di scuola. Basta che voglia farlo.”
Il
che, detto da chi mi aveva consigliato di mandarlo a zappare, rappresenta un
bel passo avanti. Così come sembra che, a tutti gli effetti, questa sia la
scuola giusta per lui, sulla base dei suoi gusti e delle sue capacità: mi si
sconsiglia di portarlo via da qui, nonostante tutto.
La
sua sorte è dunque segnata, se anche si dà da fare in questo periodo non porterà
a casa nulla di concreto: che motivo c’è di continuare a smazzarsi, dunque? Perché
non gettare semplicemente la spugna, dichiarando chiuso l’esperimento liceale?
Perché
qui il problema non è la scuola, ma il modo di affrontare la scuola. E se non
cambia quello, cambiare istituto, corso di studi, insegnanti o quello che vi
pare non porterà ad alcun risultato positivo. Lo mandassi anche a zappare, sono
certa che si trancerebbe un piede, facilone e superficiale com’è.
Come
capita a molti suoi coetanei, il gaglioffo paga sì il fio delle sue colpe, ma
ad esse si aggiungono i disastri causati da un sistema scolastico che fa acqua
da tutte le parti. Dalle elementari in poi, questi vanno avanti a blocchi
chiusi: finito un argomento, lo si chiude per non riprenderlo più. Concluso un
quadrimestre, si ricomincia daccapo, con un reset completo: quattro inclusi. L’impossibilità
di rimandarli e il sostanziale divieto di bocciarli fanno il resto. I
giovanotti arrivano alle superiori convinti di cavarsela sempre all’inglese:
trovandosi, viceversa, davanti a un muro. Sul quale, non di rado, vanno a
schiantarsi.
Certo,
c’è chi va benissimo a scuola ugualmente: solo che la scuola non è fatta per
portare avanti i migliori, lasciando gli altri a far tappezzeria, o escludendoli
del tutto. A volte i ragazzi sono immaturi, impreparati, cialtroni e sembrano
privi d’interessi: i professori in gamba dovrebbero saper tirare fuori qualcosa
di buono anche da costoro.
Non
è né facile né divertente: molti ci rinunciano in partenza, abbandonando i peggiori alla loro sorte, oppure
considerano il liceo una sorta di campo militare costruito per formare i
migliori, operando una selezione durissima con il solo scopo di sfrondare.
Mi
considero fortunata, poiché i prof di mio figlio non hanno alcuna
intenzione di liberarsi di lui: anzi. Stanno collaborando attivamente con me per
trovare la chiave di volta per fargli completare il giro a 180° che sembra aver
iniziato a fare.
Per
una volta, ho visto il sorriso sulla faccia del nostro, a sentire il resoconto
del colloquio. E abbiamo un altro mese di tempo per testare se, alla
soddisfazione, seguirà anche il classico colpo di reni.
Inoltre,
abbiamo stabilito quali sono i punti deboli (in precedenza, la situazione era
tanto compromessa da non offrire appiglio alcuno) e deciso come sarebbe
necessario agire per aiutarlo a superarli. Va da sé che la mamma avrà parte
integrante in questo processo, sempre che riesca a trovare il giusto equilibrio
tra organizzazione coatta e autodeterminazione. Per fortuna, Matti ed io viaggiamo sulla stessa lunghezza d’onda:
anche se ci prendiamo sempre in giro, c’insultiamo, malmeniamo e disturbiamo a
vicenda, ci capiamo alla perfezione. Lui sa fino a dove può arrivare con me e
viceversa: agendo da alleati, e non l’uno contro l’altro armati (una situazione
che, a onor del vero, tra di noi non si è mai creata), forse possiamo farcela.
Se un anno fa ci si prospettava di salire una montagna, oggi siamo a breve
distanza dalla vetta: siamo avvolti dalle nuvole, con il fiato corto e
un bel pezzo di ascesa ancora da percorrere. Però di strada ne abbiamo fatta:
mi voglio concentrare su quella, e non sui fallimenti. Altrimenti, come posso
aiutarlo, mio figlio?
Sì,
lo so: forse sono solo un’ostinata zuccona. Se mi sbaglio, l’anno prossimo lo
mando a lavorare. Ma se ho ragione, ne avrò tirato fuori dai guai un altro.
I
figli qualche volta ti deludono, altre ti sorprendono e non sempre in senso positivo, purtroppo: il
difficile è reagire in modo costruttivo. Se la prendi sul personale, oppure
rinunci a combattere per loro e con loro, hai una reazione terribilmente umana.
Solo che a noi genitori è richiesto uno sforzo sovrumano, quando le cose vanno male:
andare oltre il tuo dolore e saper guardare avanti. Al futuro di tuo figlio,
che conta mille volte di più del passato condiviso con lui. Comunque esso sia stato.
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