Dresscode e testimoni scomodi
Vabbè:
in determinate occasioni non si può circolare vestite di stracci. Però con certi
straccetti recuperati sulle bancarelle dei mercati rionali si possono fare
miracoli: basta giocarsela bene sui dettagli. L’accessorio di livello
conferisce dignità anche alle cose più semplici: è sufficiente non strafare e
osservarsi allo specchio con occhio critico. Se ammettiamo i nostri punti
deboli, riusciremo a evitare inopportune cadute di stile (che dire di certe
minigonne, azzardate su cosce simili a prosciutti? o di taluni vestitini
stretch, nati per evidenziare curve seducenti, aggrappati a fisici secchi come
grucce? Noi donne, talvolta, abbiamo un gusto dell’orrido nel vestirci che
rasenta l’autolesionismo).
Per
quanto mi riguarda, possiedo un drescode rigidissimo, che mi porta ad evitare
la quasi totalità della roba all’ultimo grido: su di me, di certo un grido lo
provocherebbe. Di orrore.
Fortuna
vuole che quest’anno siano tornati i tubini colorati anni ’60: con quelli, ci
vado a nozze. Mi stanno da dio, nonostante i miei recenti sconfinamenti
ponderali nell’area rossa.
Giorni
fa, ne indossavo uno in presenza di Jurassico: il quale mi osservava con occhio
quasi bramoso, almeno fino al momento nel quale ha notato uno sbaffo di pizzo occhieggiare
da sotto la gonna.
“Che
è quello?” chiede, indignato.
“L’orlo
della sottoveste. Potresti guardare la strada, che finisci nel fosso, per
favore?”
“Ma
si vede!”
“Si
vede perché non ci sto attenta: qui ci sei solo tu. In pubblico ti garantisco
che non si vede affatto. E comunque, anche se fosse, è la moda!”
“Ehhh???
Sei matta? Come sarebbe a dire nessuno la
nota?!”
“Senti,
taliban, tu devi assolutamente parlare con l’audiometrista. Sei sordo come una
campana: ho detto E’ LA MODA! Fanno addirittura i vestiti con la sottoveste
finta, sotto! Senza contare che, insomma, ormai tua moglie li ha spesi tutti…
Chi vuoi che stia a guatare me?”gli reispondo, ricordandogli i miei dati anagrafici.
Poco
convinto, l’uomo mi risponde con un grugnito di disapprovazione, riservandosi
di osservarmi con attenzione durante le ore a seguire. Per fortuna, gli devo
essere sembrata abbastanza coperta, perché non è più tornato sull’argomento.
Qualche
giorno dopo, ho avuto modo di rendermi conto di quanto mi sbagliassi, circa l’impossibilità
di essere guardata con interesse. Sempre con quel famigerato tubino verde
addosso, viaggiavo con passo spedito in quel di Bassano: getto un’occhiata (da
dietro gli occhiali) a un signore al di là della strada, avendolo preso per un
mio conoscente. In realtà, era un tizio che mi aveva puntato di brutto: ben
deciso ad agganciare il mio sguardo, il tomo mi pianta gli occhi addosso, manco
mi volesse mangiare. Provenendo dalla direzione opposta alla mia, prima di
mollare la presa costui ha impresso alla sua capoccia una rotazione di 180°,
che mi pareva una scena dell’Esorcista. Roba da non credere.
Decisamente
impressionata, me la sono data a gambe.
Un’ora
dopo, spingevo un carrello in mezzo alle corsie del supermercato: una signora,
già cliente della mia farmacia, mi adocchia e mi abborda.
“Dottoressa!
Che piacere vederla… Ma lo sa che è bellissima? Sempre più giovane!”
(??? Ma la gente sa quello che dice?! N.d.A)
“Eppoi,
guarda qui che linea! E’ stupenda!” e qui mi fa un mezzo giro attorno,
fissando il mio lato B: “Con questo…” continua a declamare, mentre io,
disperata, penso “Signora la supplico: si
fermi qui! Ha già detto troppo…”
Per
mia fortuna la signora si ferma, lasciando morire la voce sui puntini
sospensivi. Ringrazio per i complimenti, e stavolta scappo di corsa sul serio, mentre la dama apre un dibattito sulle mie curve con una sua conoscente. Un dettaglio che mi scaglia nell'iombarazzo più nero.
Prima
di cambiarmi, incontro un mio caro amico: il quale s’incarica di informarmi
che, vestita così, sono elegantissima e che sto molto bene. Ringrazio, grata per la forma ineccepibile conferita al complimento, e decido di crogiolarmi un po’ nel picco di
autostima provocato dagli episodi sopra desctitti.
E
qui entra in scena il gaglioffo: il quale è la mia coscienza critica, nonché
testimone scomodo.
“Mamma…
Sai una cosa? Papà sarà anche invecchiato, gli sarà cresciuta la panza, però
rimane sempre un bell’uomo. Con te, invece, mi sembra che le cose siano sempre
uguali: non cambi mai” e qui quasi quasi m’ingrasso: non essere cambiata sarebbe un successone.
“Ti
guardo, e vedo la stessa strega di sempre!”
Perfetto.
Quel ragazzo ha il potere di ricondurmi alla realtà, facendomi precipitare con
i piedi per terra, da qualsiasi altezza qualche anima pia abbia avuto la bontà
di innalzarmi. So che gli dovrei essere grata: però lo detesto lo stesso.
Ebbene sì, lo riconosco: sono una debole. La verità mi fa male!
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