Rapporti di famiglia
Oggi
il post me l’avete ispirato voi, è deciso.
Rapporti
genitori-figli: parliamone.
Una
di voi mi scrive di non aver mai parlato con la sua mamma come mia figlia fa
con me: tranquilla,
manco io ci sono mai riuscita.
Quand’ero
ragazza, mi dicevano che avrei capito un sacco di cose, una volta diventata
mamma: in effetti, è successo. Solo che mi sono resa conto di quanto distorte
fossero certe dinamiche, che all’epoca davo per scontate: non esattamente l’effetto
che si aspettava il vaticinante di turno.
Da
mamma, non potendo contare su un modello genitoriale di sicura efficacia, mi
sono arrangiata facendo funzionare il buonsenso. O almeno provandoci: nella
piena consapevolezza che i rapporti umani funzionano solo se la controparte è
impegnata in tal senso almeno quanto noi.
Ecco
perché penso che sì, è una bella cosa essere riuscita a costruire un bel
rapporto con i miei figli: ma so che non è merito mio. O, meglio, non è soltanto
merito mio: c’entrano anche il loro papà, che mi ha sempre supportata, in tutti
questi anni, e loro stessi, che ci tengono a me almeno quanto io tengo
a loro.
Certo,
con i figli piccoli (o molto giovani) il rapporto non è equilibrato: tu hai l’esperienza,
tuo è il ruolo educativo, tu sei quello che li deve guidare. Il loro mestiere,
tutto sommato, è quello di contestare: l’abilità sta nel riuscire (ove
possibile) a far confluire la loro energia esplosiva in modo costruttivo.
Non
sempre ci si riesce: a volte non basta offrire ai figli le migliori
opportunità, le condizioni di vita e psicologiche più adeguate alla loro
riuscita, per garantire che, in effetti, riescano.
Siamo
tutti capaci di essere bravi genitori, se abbiamo un figlio che ci riempie di
soddisfazioni: la difficoltà nasce quando un figlio ti delude, ti tradisce, si
approfitta in modo ignobile della tua fiducia.
Ricordo
che, già da bambina, ero molto colpita dalla figura del padre, nella parabola
del figliol prodigo: da figlia, lo capivo poco. Comprendevo molto di più la
reazione del figlio fedele, che si offende di fronte alla gioia del papà nel
riaccogliere il figlio perduto. A
comportarsi bene si è becchi e bastonati, pensavo: va sempre molto meglio ai
lazzaroni.
Diventare
mamma e capire le ragioni e i sentimenti di quel padre è stato tutt’uno: un
genitore degno di questo nome deve saper andare oltre i torti e le ragioni.
Se
per tenere il punto, per orgoglio, per rabbia, non riesci a dare la mano a un
figlio caduto che ha bisogno del tuo aiuto, ora che si vorrebbe risollevare, ne
decreti la rovina certa. E non è questo il compito di un genitore.
A
dare alle persone una seconda occasione si fa sempre una scelta intelligente: per
quanto mi riguarda, questo non vale solo per la prole. Certo, se abbiamo a che
fare con un recidivo cronico, si deve anche trovare la forza di dire basta: ma,
per fortuna, questi sono casi limite. Di solito, quando la gente sbatte il naso
sul muro se ne tiene lontana, nel futuro.
Il
ruolo della mamma, in famiglia, è spesso quello del mediatore: con il cuore a
metà fra marito e figli, deve riuscire ad ascoltare tutti senza prendere aprioristicamente
le parti di nessuno.
Se
comprende le ragioni e i torti di tutti, senza schierarsi ora qui ora lì, a seconda
della convenienza; se ce la fa a capire le defalliance di ognuno, senza per
questo giustificarle e far finta di nulla; se si pone come obiettivo di
dirimere le contese, senza lasciarsene invischiare; se cerca di lasciar fuori
la sua emotività dai contrasti tra coloro che ama, evitando di
decontestualizzare ogni frase, prendendola sul personale; se cerca di valutare
con serenità le situazioni, anche le più spinose, astenendosi dal tranciare
facili giudizi: se è quasi olimpica, insomma, nei suoi rapporti con i vari
attori della commedia… le cose quadrano.
Tra
l’optimum appena descritto e la mamma conflittuale, egocentrica, gelosa e partigiana
ci sono mille sfumature, all’interno delle quali ognuno di noi può intravvedere
se stesso (come madre, come padre, se è a lui che è stato conferito il ruolo di
mediatore, oppure come figlio o figlia).
La
vita in famiglia può essere un paradiso come anche un vero inferno: l’adattabilità
dell’essere umano gioca una parte fondamentale. A volte c’è chi vive in un
equilibro metastabile, in un contesto addirittura drammatico: molto complicato sarà, per queste persone, riconoscere i lupi travestiti da agnelli.
Quando
esci da un’esperienza negativa, spesso è terribilmente difficile evitare di
ripetere sui tuoi figli gli errori commessi nei tuoi confronti. Se l’unico
esempio genitoriale a nostra disposizione è fallimentare, spesso non sappiamo cosa
fare: purtroppo, anche la tecnica del buttare tutto, facendo sempre l’esatto
contrario di quel che è stato fatto a noi, non funziona come si vorrebbe.
Poi
ti manca l’esperienza: e quando te la sei fatta, molte volte è troppo tardi per
rimediare agli errori.
Che
fatica, gente. Che fatica far quadrare questo cerchio…
La
serenità è una conquista quotidiana, la felicità un obiettivo spaventosamente
difficile da centrare e facilissimo da perdere.
Se
la fortuna non ci sostiene, come spesso accade, non bisogna mai abbandonare la
speranza: si può costruire un edificio solido anche su un tappeto di macerie. E’
necessario crederci molto, e crederci tutti: senza contare che il cantiere rimane
sempre aperto. Non c’è conquista che sia definitiva, in questo campo: però,
vale la pena di affaticarsi per il nostro edificio. Tutti sono capaci di
distruggere: ma sono i costruttori che rendono il mondo un posto dove vale la
pena di vivere. Questa è una delle poche certezze che ho.
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