Non me l'avevano detto
Nessuno
mi ha avvisata.
Quando
li dovevo inseguire, imboccare, redarguire, educare e sorvegliare, speravo solo
di invecchiare: sarò rugosa e inflaccidita, mi dicevo, ma almeno non dovrò più
fare la balia asciutta.
Attendevo
il mio autunno come d’inverno aspetto la primavera: il momento nel quale per star
loro accanto mi sarebbero bastate una bici, un asciugamano da spiaggia, la
seggiola della cucina o il divano del salotto. Sarò una signora, m’illudevo.
Quando
non dovrò più comprimermi il cervello per comunicare con loro sarà tutta in
discesa, vagheggiavo.
Invece,
mi è arrivata la mazzata. Ho scoperto che il mio secondo nome è Sisifo, ma
nessuno me l’aveva mai detto.
Gli
anni sono passati, le rughe non sono più solo d’espressione, la forza di
gravità ha raddoppiato la sua intensità, trascinando verso terra tutti i miei
profili, ma le difficoltà, brutte infami, sono ancora tutte lì. O quasi.
E
non parlo solo di problemi seri. Quelli possono essere immensi, checché ne
dicano, anche quando sono piccolini.
Parlo
proprio della quotidianità, del vivere insieme, tutti assieme, continuando a
essere famiglia, senza diventare solo un gruppo di persone raggruppate sotto lo
stesso tetto.
Del
momento nel quale, se sbagli a rapportarti, rischi di perderli, forse
definitivamente.
Ecco,
lì devi tirare fuori il diplomatico che c’è in te.
Ti
devi reinventare, riciclare, adattare e plasmare, per non perderli di vista e non
farteli sfuggire dalle mani.
Devi
indirizzarli senza prevaricarli, consigliarli senza influenzarli, comprenderli
senza giustificarli, sostenerli senza fare di te stessa una stampella.
Il
tutto senza manuali, patentini o corsi a tema: navigando a vista. Che se sei
cecata, come la sottoscritta, ti viene pure peggio.
Eppure…
Eppure
non mi sono ancora stufata. Mi stanco, ma non mi stufo.
Evito
di nuotare controcorrente, scontrandomi con loro, che tanto mi distruggerei
senza arrivare da nessuna parte. Mi godo la parte migliore dei miei ribaldi,
cercando di ridere sulle cose che non vanno, di non drammatizzare gli errori (nemmeno
i miei, che sono numerosi e potenzialmente catastrofici, a volte) cercando invece
di rimediare. Di trovare un compromesso, una soluzione, un punto dal quale
ripartire, persino da zero.
Coltiviamo
l’arte della risata e quella del sorriso, ci sosteniamo gli uni con gli altri
(ogni figlio è anche fratello, a Casa per Caso: e questo conta, nella somma
finale) zoppichiamo tutti assieme, accennando talvolta a una piccola corsa.
Nel
complesso, le cose non vanno così male: è dura, ma resisto. Ancora non è
arrivato il tempo per la lettera di dimissioni. E speriamo che, nel
frattempo, noi ce la caviamo.
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