Puliziotte al lavoro
Quando la colf è in vacanza Valentina si scatena.
Sta rivoltando la Stamberga da cima a fondo: sopra e sotto, dentro e fuori.
Non c’è angolino nascosto che le sfugga. E’ intervenuta persino sui fratelli:
ha disinfestato il loro bagno, lavato tutti gli accappatoi, eliminato scorie
ammonticchiate qui e là da chissà quanto. Ha riordinato gli armadietti della
cucina, razionalizzato il suo guardaroba, spolverato per ogni dove e acquistato
fragranze di prima qualità per gli ambienti.
Vederla circolare per casa con lo spazzolone o lo scopettone Swiffer fa
pensare a una regina: quella li manovra come fossero scettri. L’aspirapolvere
non lascia nemmeno una briciola alle sue spalle, gli specchi rilucono, i mobili
rinascono, sotto le sue manine.
Dopo qualche ora trascorsa così, la fanciulla è soddisfatta. Avvisati i
fratelli di non vanificare il suo impegno di perfetta donna di casa, sparisce
di scena: la zia e la nonna l’attendono.
Pare impossibile, ma i maschi di casa le danno retta: se, al rientro, trova
il bagno incasinato, disordine sparso, briciole in giro o altri segni del
passaggio di un maschio allo stato brado, la scontano con gli interessi. I
fratelli maggiori accettano qualsiasi cosa, da lei: il gaglioffo non accetta un
bel nulla, ma è assoggettato per motivi anagrafici. Senza contare che l’intera
famiglia gli è contro, per il suo disordine endemico e per la sciatteria
incoercibile dalla quale è affetto.
Quanto alla sottoscritta, cumuli enormi di biancheria da lavare a parte, ho
indossato la tuta da lavoro, accollandomi la mission “CUCINA”. Una cucina che,
come da accordi, il filosofo aveva ripulito – o, meglio, credeva di aver ripulito
– il giorno successivo alla festa con gli amici.
Appena messo piede sul luogo del misfatto, ho avuto un mancamento: tempo
previsto per la bonifica, due giorni. Come minimo.
Avendo sempre mantenuto in funzione la lavastoviglie, il diabolico duo è
convinto, come sempre, di aver fatto tutto il suo dovere. E invece…
I coperchi, per esempio. Quei due devono essere intimi con il diavolo:
lavano solo le pentole. Dei coperchi ignorano l’esistenza: ne ho trovati una
pila, incaramellati da due settimane di grasso nebulizzato. La superficie della
cucina economica era cosparsa di residui alimentari bruciacchiati, aggrappati
anche verticalmente, sulla spalla di acciaio della stufa. L’unto velava ogni
piano nel raggio di tre metri dai fornelli, impronte digitali farcite
tempestavano vetri, fiancate dei mobili, antine dei mobiletti. Mi domando se i
miei figli abbiano problemi di equilibrio: sembra debbano appoggiarsi
dappertutto. Persino a fianco del frigo: manco lo avviluppassero in un
appassionato amplesso, ogni volta che cercano una cipolla o un pezzo di grana. Distruttivi.
Sul pavimento evito commenti: per fortuna, ho la macchina per il vapore.
Professionale: quella squaglia anche il gatto, se per avventura ne incrocia il
getto.
Il colpo finale me l’ha vibrato la spugnetta in microfibra: viscida al
tocco. Non si riusciva nemmeno ad afferrarla, perché sgusciava come un'anguilla. Come avranno fatto a ridurla in
quello stato? Il mistero è stato presto risolto: Andrea l’aveva ficcata in
lavastoviglie. Dove la meschina aveva raccolto ogni singola stilla di grasso
staccatasi dai piatti, rimanendone intossicata. Per rianimarla, sono state
necessarie tre successive sessioni di bollitura con sapone di Marsiglia.
In preda a delirio igienizzatore, mi sono spinta oltre i confini del mondo
conosciuto; conosciuto dalle colf, almeno. Il motivo mi sfugge, ma sembra che, oltre
il metro e mezzo, per loro gli oggetti smettano di esser degni di attenzione. Ho trovato
scaffali che non conoscevano una spugnetta da mesi; bottigliette, piatti
decorativi e ammennicoli vari avevano cambiato colore, perché ricoperti da uno
strato di lerciume grigiastro. A quel punto, facevo concorrenza alla Vaporella,
per la quantità di fumo che mi usciva dalle orecchie.
La mia ira, per quanto funesta, è stata tuttavia di breve durata: merito delle
buone cose di pessimo gusto. Ne possiedo
un’autentica collezione: ognuna delle quali mi ricorda qualcosa di bello. Un viaggio,
un’occasione speciale, un magic moment con uno dei figli. Il pesciolino fatto
col riso colorato, opera di una Miss iscritta al nido; gli angioletti suonatori
di piffero, realizzati dall’informatico quando ancora tale non era. Una cornice
di lana rossa, intrecciata dal gaglioffo, con al centro la sua stessa effigie.
A mesi diciotto, ancora col ciuccio in bocca e l’occhione ceruleo spalancato,
davanti alla meraviglia del mondo. Infine, il pulcino del filosofo: un pennuto
fatto col Das, giallo canarino, col cappello da cuoco e grembiulone bianco,
teso sulla panzetta. Un ritratto nel quale mi sono riconosciuta, ora più che
mai, ahimè.
Ecco svelato il motivo per il quale, facendo le pulizie, talvolta mi vengono gli occhi rossi. Non sono allergica ai detersivi: è che ho alcune devianze segrete. Che escono fuori a tradimento, nei momenti di difficoltà.
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